È possibile fare un bilancio, anche parziale, della sharing economy? Va presa come una benedizione per ogni soggetto economico? Il modello sta sedimentando lentamente, rivela pregi e difetti, con aree molto fertili e zone d’ombra.
Uno dei futuri possibili della sharing economy, quello forse più radicale, è nelle parole che la parlamentare danese Ida Auken ha consegnato al Global Future Councils del World Economic Forum del 2016. Si tratta di una prospettiva iperbolica, molto evoluta e raffinata, che descrive il 2030: un mondo in cui dimenticare i pronomi personali, perché la proprietà mio-tuo-suo sarà quasi scomparsa, tutto verrà prodotto pensando al riciclo-riuso, e lo shopping morirà, perché l’acquisto cederà il passo all’utilizzo.
UN BILANCIO SOLO PARZIALE
Ida Auken ha voluto aprire un dibattito, appena cominciato, con una posizione forte e provocatoria, lasciando poi i puntini di sospensione sul futuro di uno dei modelli che ha portato più scompiglio e novità nel mondo dell’economia. I numeri ci sono, e si trovano ovunque: partendo dalle performance dei suoi due più noti protagonisti (Uber e AirBnb) si stima che la condivisione crescerà, dagli oltre 15 miliardi di dollari l’anno, fino ai 335 miliardi nel 2025.
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