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LA MOBILITÀ SECONDO CARLO TURSI (UBER ITALIA)

Carlo Tursi è General Manager di Uber in Italia. Di lui ci restano impresse tre cose. Ha passato la notte di Capodanno 2018 in azienda, per gestire i fisiologici picchi di lavoro dovuti alle feste; ha alle spalle un’interessante esperienza in Israele, e vive la mobilità non come una professione, ma un modo per trovare soluzioni ingegnose.

Intervista estratta dal business report privato 11 note di Intelligence Economica di Company | Note.

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Driver – Oggi le regole del gioco per chi si occupa di mobilità ci sembrano queste: l’utilità per l’utente/consumatore, la sostenibilità per il contesto in cui opera (ambientale e logistica) e la sostenibilità economica per gli operatori. Confermi? Vedi altri parametri?

Sebbene vi siano delle eccezioni e alcuni caveat, in larga misura la mobilità urbana è assimilabile a una commodity: a gran parte di noi interessa spostarsi da A a B nel modo più rapido ed economico possibile. Pertanto, il successo di un player è indubitabilmente legato fortemente al prezzo, o meglio, al rapporto prezzo / qualità del servizio offerto. Nel caso delle piattaforme come Uber, va ricordato che di fatto tali piattaforme si rivolgono a due categorie di clienti: da un lato i passeggeri, dall’altro gli autisti; quindi, sarà vincente quella piattaforma che riuscirà ad avere una proposizione convincente nei confronti di entrambe queste categorie. Tre elementi imprescindibili sono inoltre la sicurezza e l’affidabilità del servizio, così come la sostenibilità economica, necessaria per garantire il successo nel lungo termine.

Italia – Facciamo un’analisi del mercato italiano della mobilità, proprio con questi aspetti: utenti, sostenibilità ambientale / logistica, economica, etc…

L’Italia è un Paese caratterizzato da una moltitudine di piccole e medie città, con decine/centinaia di migliaia di abitanti e con un’offerta pubblica di mobilità urbana quasi sempre insoddisfacente. Non a caso il nostro Paese è tra i primi al mondo in quanto a tasso di possesso di auto private: da noi l’auto non è un lusso, bensì una necessità. Questo significa che l’Italia è un terreno estremamente fertile per soluzioni alternative di mobilità urbana, che siano complementari rispetto all’offerta esistente. Lo dimostrano, nel piccolo, i successi, in termini di utenti, registrati dalle esperienze del car sharing e del bike sharing in alcune delle nostre città.

Nel caso del ride-hailing (cioè la possibilità di chiamare via smartphone un’auto con autista), anche l’offerta potenziale è estremamente elevata, data la vasta popolazione disoccupata o sotto-occupata, incensurata e munita di patente / automobile. Quando la domanda per un servizio è elevata, al netto di buone pratiche di management e di dinamiche competitive, una condizione fondamentale per raggiungere la sostenibilità economica è la possibilità di poter far leva su crescenti economie di scala. Tali economie di scala, a loro volta, sono rese possibili soprattutto da disponibilità di capitale (più bassa in Italia che in altri Paesi – ma oggi non un fattore così critico neppure nel nostro Paese, a mio modo di vedere) e contesto regolatorio. Su quest’ultimo, purtroppo, l’Italia è senza dubbio uno dei mercati meno “friendly” per aziende multinazionali, anche nell’ambito della sola “vecchia” Europa.

Basti menzionare l’esempio di Uber. A fronte di una domanda di mobilità così elevata, l’Italia è oggi uno dei pochissimi Paesi al mondo in cui l’azienda non ha nessun concorrente diretto, poiché nessun’altra azienda si è ancora neppure azzardata ad entrare in questo mercato complesso. L’Italia è anche uno dei soli 2 Paesi al mondo in cui Uber opera soltanto con il suo servizio premium, UberBLACK, e non può invece offrire soluzioni di mobilità più economiche e sostenibili. Il mondo del noleggio con conducente (NCC), a cui Uber si appoggia per i propri servizi, è fermo ad una legge del 1992 e a una logica antica, di tetto al numero di autorizzazioni, con una città come Milano che non emette una nuova autorizzazione NCC dai primi anni ‘70. Mentre il mondo si muove verso auto elettriche e a guida autonoma, in Italia, ancora oggi, si continua a mettere pressione su Governo e Parlamento affinché gli NCC rientrino vuoti all’autorimessa alla fine di ogni singola corsa effettuata.

Estero – Che differenze trovi con l’estero? Quali sono i “mercati” in cui questi elementi funzionano al meglio?

Sono tanti gli esempi positivi provenienti dall’estero. Esistono due macro-modelli normativi: in alcuni Paesi i governi hanno scelto di regolare i singoli autisti, dotandoli di licenza/autorizzazione e stabilendo le regole per le piattaforme su cui essi operano; in altri, invece, si è scelto di normare direttamente le piattaforme, delegando ad esse la responsabilità di assicurare che tutti gli autisti soddisfino certi requisiti. Entrambi i modelli possono funzionare bene, a condizione che non esistano tetti o vincoli artificiali al numero di autisti o alle tariffe applicate. È infatti il mercato, in regime di aperta concorrenza, a individuare in ogni momento i livelli ottimali di tali valori, mentre il regolatore si limita a definire regole chiare per garantire parametri importanti di sicurezza e di protezione dei consumatori e dei lavoratori.

Già prima dell’avvento di Uber, quasi tutti i Paesi europei godevano di regole più aperte e concorrenziali rispetto a quelle italiane. Negli ultimi anni, vari Paesi hanno provveduto (o stanno provvedendo) ad aggiornare ulteriormente tali regole, aprendo sempre più alle tecnologie e alla concorrenza, a beneficio dei consumatori. Alcuni tra gli esempi più virtuosi provengono da Paesi quali l’Estonia o la Finlandia, o anche dalle regole al momento in fase avanzata di discussione in Croazia e in Portogallo.

Esempi virtuosi – Hai lavorato per diversi anni in Israele. In questo contesto, cosa si può imparare da un Paese tecnologicamente così avanzato?

Esiste un’ampia letteratura sul “caso Israele”, che ha fatto scuola in termini di capacità di stimolare e promuovere l’innovazione. Non mi sento di aggiungere molto a quanto è stato scritto da persone molto più qualificate di me a riguardo. Senz’altro, vivendo e lavorando per diversi anni a Tel Aviv, ho avuto modo di apprezzare un ecosistema molto più orientato all’imprenditorialità, al trial and error, all’innovazione. Credo che questo sia frutto di uno sforzo coordinato a più livelli, dall’impostazione dell’istruzione, all’assegnazione del budget nazionale, alla creazione di un ecosistema di finanziatori pubblici e privati, alla istituzione di regole che rendono il lavoro più fluido e flessibile.

Consumo – Quali mezzi usare – Che tipo di arbitraggio fa il consumatore/utente oggi (come “costruisce” il mix di viaggio)? Metro + taxi + bici…Come lo costruisce (efficienza, economicità, prossimità…)?

I nostri dati dimostrano che i consumatori scelgono la modalità di spostamento in città sulla base principalmente di tempo e prezzo, distribuendosi in 2-3 macro-categorie di servizio, che definirei “premium”, “basic” e “economy”. Purtroppo oggi, nel 95% dei casi, l’auto privata rimane la soluzione di gran lunga vincente, a causa della carenza di altre offerte alternative, o complementari al trasporto pubblico. Maggiore è il numero di servizi alternativi offerti, più efficiente diventa spostarsi in modalità “multi-modale”, ossia usare più di un mezzo di spostamento – e diventa via via più conveniente lasciare l’auto privata a casa. A Londra, ad esempio, oltre un terzo delle corse Uber iniziano o terminano nei pressi di una stazione di treno o metropolitana, ed osserviamo un alto numero di commuters che usa Uber come strumento per coprire il primo/ultimo miglio, in piena complementarietà alla rapidità/economicità della “tube”.

Marginalità – Leggiamo che molti dei car sharing operanti in Italia non hanno ancora fatto utili. C’è spazio di business per tutti o alcuni di questi non avranno vita facile, in termini di marginalità?

Preferisco non commentare sul modello di business di aziende diverse da quella per cui lavoro. In generale, sono tanti e indubbi i meriti del car sharing, ma credo che questo tipo di servizio sia ancora nella sua infanzia e continuerà a crescere e ad evolversi significativamente nei prossimi anni, a beneficio di sempre più consumatori che potranno usufruirne per i loro spostamenti. Credo anche che l’emergere di altre forme di mobilità complementari al car sharing contribuirà nel complesso a far sì che sempre più persone scelgano di lasciare l’auto privata a casa, a beneficio di tutti gli operatori di mobilità, compresi quelli del car sharing.

Infrastrutture – In Italia cosa manca per favorire una mobilità efficiente, anche privata?

Più che di infrastrutture, credo che il limite principale in Italia sia quello di regole a volte troppo rigide, a volte troppo ambigue, che ostacolano lo sviluppo di nuove ed efficienti forme di mobilità e spesso finiscono per allontanare potenziali investimenti privati da parte di aziende locali o estere che potrebbero altrimenti essere interessate a contribuire allo sviluppo dell’ecosistema di mobilità locale qui in Italia.

Sostenibilità ambientale – Gli utenti sono sempre più attenti all’ambiente. Gli operatori privati della mobilità cosa potrebbero fare per aumentare la sostenibilità ambientale delle loro attività?

Partirei con il sottolineare come quasi tutte le forme alternative di mobilità urbana – anche quelle che si basano sull’uso di auto con motori a combustione interna – siano inerentemente più efficienti dal punto di vista energetico (e quindi meno inquinanti) del trasporto con auto privata, soprattutto vista l’elevata età media della flotta di auto private italiana, e il bassissimo tasso di occupazione medio delle automobili che circolano nelle nostre città.

Detto ciò, si può senza dubbio fare molto, e molto di più. Serve un po’ di coraggio da parte degli operatori dell’ecosistema, a tutti i livelli (case automobilistiche, operatori energetici, società di noleggio e di leasing, assicurazioni, amministrazioni comunali, operatori di mobilità) nell’istituire sistemi virtuosi di incentivazione economica che facciano leva sull’efficienza più elevata di soluzioni a basso impatto ambientale per distribuire il beneficio economico su tutti gli anelli della catena del valore.

Start up e mobilità – Sappiamo che segui con interesse le innovazioni del tuo settore a livello internazionale. Quali start up/innovazioni ci suggerisci di tenere d’occhio?

Negli ultimi mesi anche in Italia, come nel resto del mondo, stiamo osservando l’emergere di nuove interessanti soluzioni di bike sharing e scooter sharing a flusso libero, che sicuramente costituiscono un fenomeno molto interessante da tenere d’occhio. Fra le tante soluzioni innovative di mobilità, mi incuriosiscono quelle che guardano all’ottimizzazione dell’uso dei parcheggi in città. In particolare, mi fa piacere menzionare WiPark , una start-up fondata da dei ragazzi italiani che ha vinto la competizione UberPITCH nel 2016 e ha ricevuto mentoring da parte di Uber nell’ultimo anno.

Un altro settore estremamente dinamico è quello dell’ultimo miglio della consegna di merci e di cibo, nel quale assistiamo ogni settimana alla nascita di nuove iniziative da parte di start-up o di grandi aziende, con un fermento senza pari che continuerà a cambiare le nostre vite – e l’aspetto delle nostre città – nei prossimi anni.

Efficienza – I nuovi modelli di mobilità (piattaforme) possono essere applicati alla logistica merci?

Senz’altro. Negli Stati Uniti stiamo sperimentando da poco UberFREIGHT, un sistema che fa leva sulla tecnologia di Uber per ottimizzare gli spostamenti delle merci che viaggiano sulle highways americane all’interno di furgoni, camion e rimorchi. I primi risultati sono estremamenti promettenti e al di sopra delle nostre aspettative, in termini di benefici che tali soluzioni possono portare sia a chi spedisce merci, sia a chi le trasporta.