Una domanda buona ogni giorno, che costringe a controllare finanza, contabilità e gestione. A prepararsi per il futuro.
(articolo su Imprese e Territorio, n°2/2020)
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Spesso il valore dell’azienda è un argomento urgente. Purtroppo, entra in scena sotto la tempesta di una crisi o sotto l’uragano di una ristrettezza improvvisa.
“Devo vendere subito, altrimenti chiudo” oppure “meglio trovare un nuovo socio, che lavorare con mio figlio” sono le frasi che lo accompagnano.
In Italia, il valore come quantificazione economica e finanziaria della propria impresa è infatti la cifra con cui l’imprenditore pensa di entrare ufficialmente nel mercato dei capitali; quasi sempre per vendere, raramente per comprare, quasi mai per unire la sua ad altre imprese.
Arriva quel momento “urgente”, val la pena di ripeterlo, in cui non vuol altro che sapere quanto è valso tutto il suo lavoro. Si aspetta una quantificazione definitiva da scolpire sulla pietra dei suoi anni di sacrifici. Ma da questa cifra rimane sempre deluso. Dimentica che quel valore si ottiene con la misurazione, un’azione utile ogni giorno, non solo nel momento dell’uscita di scena.
Chiedersi “quanto vale l’impresa” nei momenti di difficoltà, infatti, è come misurare la temperatura del corpo quando si ha la febbre. Chiederselo spesso, anche nei momenti di tranquillità, serve invece a capire quanto si è in forma, dove si può migliorare, cosa è meglio mangiare.
Non è una questione di orgoglio e neppure di avidità, perché non è una domanda che riguarda solo il capitale e gli aspetti societari dell’impresa, ma è una domanda benefica che porta a comportamenti e abitudini salutari: costringe a interrogarsi quotidianamente sulla propria situazione finanziaria, contabile, quindi gestionale, uscendo dal codice binario produrre-vendere-produrre-vendere.
Impone quindi un percorso di analisi continua – che dovrebbe diventare normale – e porta a indiscussi vantaggi nel medio periodo. In pratica, costringe a “stare pronti”, essere sempre in allenamento. Ci sono infatti molti motivi non contingenti per interrogarsi periodicamente sul valore della propria impresa.
Alcuni possono portare ad una stima costante delle componenti software come:
- il portafoglio clienti;
- il marchio;
- la presenza estera;
- la proprietà intellettuale;
- il management.
Altri delle componenti hardware, come:
- i crediti e la liquidità;
- e certamente anche quel patrimonio “fisico”, sui cui purtroppo ci si concentra troppo spesso, come il magazzino e i capannoni…
Queste stime periodiche fanno quindi da incoraggiamento alla gestione ed al controllo anche lontano dai momenti di contingenza; anzi, dovrebbero proprio tenere i problemi lontani o renderli perlomeno prevedibili; ma soprattutto dovrebbero far nascere una consapevolezza, matura e adulta, sulla vita della propria azienda.
“A che punto siamo?”
“Ora è il momento di espanderci”.
“So che tra tre anni dovrò passare il testimone”.
“Entro fine anno avremo bisogno di più ossigeno dalle banche”.
“Se continuiamo così dovremo aprire un altro stabilimento”.
Queste considerazioni, una volta abituati a prendere misure costanti, conducono anche a percorsi più naturali e sicuri verso la ricerca dei capitali utili a crescere. Fanno arrivare puntuali alle svolte più importanti.
Consentono infatti di evitare i cosiddetti “momenti sbagliati” e di scegliere con calma gli accompagnatori migliori, tra i commercialisti o gli studi legali specializzati in M&A, le banche o i fondi di investimento, anche quelli più adatti alla propria piccola taglia.
In questo solco – senza il sudore sulla fronte ma con un block-notes in mano – si possono cominciare a cercare i capitali per:
- internazionalizzarsi per la prima volta o meglio (con export manager, società di consulenza, fiere, missioni, eCommerce);
- crescere in dimensione (insediando nuove linee produttive, comprando nuovi macchinari, aprendo store fisici);
- organizzare la continuità generazionale e pensare in anticipo all’identikit del nuovo socio;
- inserire nuove figure manageriali o incrementarne la presenza;
- innovare i prodotti.
Sempre in questa direzione, si può anche capire che ben prima di cercare i capitali è possibile:
- migliorare i rapporti con le banche, considerandole partner abituali, non fornitori;
- rinegoziare il rapporto con fornitori e clienti, per evitare gli scompensi cronici tra riscossioni e pagamenti;
- riorganizzare la produzione, migliorando e magari innovando i processi con la Lean o con software gestionali.
Interrogarci sul valore della propria azienda quando si è rincorsi da fornitori e banche è sempre il momento sbagliato. C’è tutto il tempo per farlo prima, innescando un percorso virtuoso che magari porta alla conclusione fortunata che avremo bisogno dei capitali solo quando decideremo di crescere, non oggi in cui rischiamo di chiudere.