Quali modelli di centri commerciali sopravvivono? Quali sono i fattori che determinano la morte di alcuni e l’evoluzione di altri?
A gennaio, nel report privato di Company | Note, avevamo messo la “crisi dei centri commerciali” nella lista delle DIECI COSE DA ANALIZZARE nel 2018.
E dopo le nostre pillole di aggiornamento di questi mesi, ecco l’analisi di Romano Cappellari, che insegna all’Università di Padova e al Master in Retail Management e Marketing di CUOA Business School.
Intervista estratta dal business report privato 11 note di Intelligence Economica di Company | Note.
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I trend che riguardano le aperture e le chiusure di centri commerciali ci sembrano molto differenziati, se prendiamo in esame Paesi come l’Italia, gli Usa, la Polonia, il Vietnam, i Paesi del Golfo. Come si spiegano performance così diverse?
Ci sono almeno tre macro fattori che spiegano le differenze nei trend delle aperture e chiusure:
- l’andamento dell’economia in generale e il tasso di crescita dei consumi in particolare,
- la superficie di centri commerciali pro capite già esistente sul mercato,
- il tasso di penetrazione dell’ecommerce.
Come si valuta l’andamento economico di un centro commerciale?
L’indicatore principe è rappresentato dal numero di accessi complessivi in un anno (il cosiddetto footfall), che poi trascina tutti gli altri: le vendite al metro quadro e naturalmente anche gli affitti che i punti vendita devono pagare per restare all’interno del centro.
Si parla qui degli affitti al metro quadro dei negozi di dimensione media e piccola perché i negozi più grandi, le “ancore” dei centri, negoziano delle tariffe a parte che riflettono la capacità di un’ancora di attrarre nuovi consumatori nel centro.
Un altro importante indicatore di salute del centro è rappresentato dalla superficie affittata sul totale disponibile: i centri più performanti si avvicinano al 100%.
Ci sembra che in Italia se ne aprano – e alcuni di grandi dimensioni sono anche il programmazione – e in Usa se ne chiudano molti. L’Italia ha ancora spazio o il mercato è saturo?
Va detto innanzitutto che l’Italia ha una superficie di centri commerciali in rapporto alla popolazione che è molto più bassa di quella americana.
In ogni caso penso sia semplicistica la chiave di lettura della “crisi del mall”: quel che stiamo vedendo in America e, in misura minore, anche in Italia, è una crisi del centro commerciale del ‘900 incentrato sul grande ipermercato nel quale fare la “spesa grossa”.
Il centro commerciale oggi sopravvive solo se diventa una destinazione interessante nella quale si passa il tempo volentieri e si viene stimolati. Non è un problema di saturazione del mercato ma di concorrenza allargata anche ad altri canali.
Gli Usa possono essere un mercato segnaletico per l’Italia oppure l’Europa, in grado di anticipare una tendenza?
Pur con le dovute differenze culturali, demografiche e geografiche, gli Stati Uniti sono sempre un mercato interessante per capire dove sta andando il commercio perché molte tendenze si manifestano in quel mercato con qualche mese o anno di anticipo rispetto all’Italia.
Così è stato per esempio in questi anni relativamente alla penetrazione dell’ecommerce e alle conseguenze per i negozi brick & mortar.
Come si spiega l’arrivo di Aldi market, mentre altre insegne (es. francesi) sono in crisi? Coprono fasce di mercato diverse, non sono gestite al meglio…?
Aldi è l’inventore del discount e si è dimostrato vincente in molti mercati grazie alla capacità di soddisfare il consumatore pur offrendo un assortimento molto focalizzato. Questo consente di attaccare la concorrenza basandosi su prezzi bassi e tassi di rotazione dello stock molto elevati.
Non è che i tedeschi siano più bravi dei francesi, ma i grandi gruppi francesi erano cresciuti in Italia con il modello dell’Ipermercato che ora è in difficoltà. Vedo che Carrefour sta facendo comunque ora cose molto interessanti sul nostro mercato con i supermercati.
Quale ruolo hanno la ristorazione e il food nell’evoluzione dei centri commerciali? Si può considerare un ingrediente speciale con cui stimolarne la frequentazione?
Sì, nella sfida per diventare una destinazione interessante la varietà e l’attrattività dell’offerta food sono fondamentali. I centri commerciali di nuova generazione hanno visto un superamento del modello con la food court incentrata sui “soliti” fast food.
Quali sono le cause reali per cui in alcuni Paesi i centri commerciali sono in crisi? Quante colpe ha – se ne ha – l’eCommerce?
L’ecommerce ha certamente una buona fetta di responsabilità perché ha tolto di mezzo la necessità di dover uscire per acquistare un prodotto visto che posso farmi consegnare tutto a casa in modo rapido ed efficiente.
A questo si somma anche un cambiamento culturale che ha interessato molti consumatori che trovano alienante (e noioso) mettersi in auto per andare in scatoloni di cemento tutti uguali a riempire carrelli enormi.
Non è un caso che alla crisi di molti centri commerciali abbia corrisposto un rilancio del negozio di vicinato.
Quale spazio avrà l’eCommerce nei grandi spazi retail? Ci sarà davvero l’integrazione augurata tra negozio fisico e virtuale?
Questa integrazione è già in corso e tutte le aziende stanno ragionando in una prospettiva omnichannel. Le ultime sono state quelle del food, ma gli ultimi mesi ci mostrano che ora si stanno tutti muovendo velocemente.
Quanto è reale la divaricazione tra spazi con discount e catene di alto livello? Ci sarà ancora un centro commerciale “per tutti” o si andrà verso una divisione per classi di reddito?
Per classi di reddito non credo, dal momento che il reddito è sempre meno un predittore efficace dei comportamenti di consumo, penso invece si asisterà piuttosto a dei tentativi di adottare una differenziazione per lifestyle.
La logistica come influenzerà l’evoluzione dei centri commerciali? C’è ancora spazio per migliorare l’efficienza nelle catene italiane o sono già tutte evolute?
La logistica delle aziende italiane della grande distribuzione è molto evoluta. Assisteremo a dei cambiamenti legati alla gestione del cosiddetto ultimo miglio, cioè la consegna al singolo consumatore finale, per le aziende che stanno puntando sulla crescita dell’ecommerce.
Amazon e Walmart stanno sperimentando tante soluzioni interessanti, compresa la consegna direttamente nel frigorifero del cliente quando questi non è a casa a poter ricevere il pacco da parte di addetti in grado di accedere in fasce orarie prestabilite alle abitazioni dei singoli clienti.