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Connettere risparmi e imprese con i PIR

Il Paese ha pochi investitori domestici nelle imprese quotate (secondo Borsa Italiana circa il 90% sono internazionali) ma anche tanti risparmi privati e un bel blocco di medie imprese bisognose di denaro per espendersi, soprattutto sui mercati esteri.

Sono questi i presupposti della nascita dei PIR  piani individuali di risparmio – che dovrebbero aiutare la liquidità a dirigersi la dove c’è maggior bisogno, rafforzando le imprese e gli investitori italiani. Ne abbiamo raccolto i dettagli da Andrea Vismara, Ceo di Equita.

 

 


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Cosa sono i Pir – piani individuali di risparmio? Quando sono stati introdotti, da chi e con quali intenzioni?

Sono uno strumento di investimento a fiscalità agevolata volto a veicolare i risparmi delle famiglie – perchè sono rivolti esclusivamente a persone fisiche residenti in Italia – verso il mondo delle imprese.

Sono stati introdotti con la Legge di Stabilità 2017, puntano a favorire gli investimenti di lungo periodo perché hanno un vincolo tale per cui se questi investimenti sono mantenuti almeno 5 anni danno diritto a una completa esenzione delle imposte sui proventi, che siano capital gain o cedole, e non sono soggetti alla tassa di successione. Per entrare in questo meccanismo di agevolazione, devono comunque rispettare alcuni parametri:

  • almeno il 70% dei risparmi che sono allocati a questi piani devono essere investiti in azioni o obbligazioni italiane,
  • e almeno il 30% di questo 70% deve essere investito in società che non sono presenti nel principale indice azionario (FTSE Mib 40).

Quindi un 21% del totale deve essere investito in titoli azionari o obbligazionari emessi da società un po’ più piccole, non piccolissime – lo specifico perché si è creato un po’ di equivoco. È quindi un modo per far si che un po’ di questo risparmio arrivi alle società un po’ più piccole di quelle a cui di solito arriva.

 

 

Qual è la condizione di partenza? Che da una parte ci sono le famiglie con risparmi disponibili e dall’altra Pmi bisognose di liquidità?

Senz’altro. Ci sono due presupposti alla base di questo:

  • l’assenza di investitori istituzionali domestici, in numero e con masse sufficienti, dedicati a investimenti italiani in Italia – perché in UK, Francia e Germania c’è una presenza di investitori domestici istituzionali che investe abitualmente in azioni e obbligazioni del loro paese, molto più pronunciata che in Italia, per ragioni storiche; questa iniziativa cerca anche di correggere questo.
  • La volontà di prendere i risparmi italiani e fare in modo che la maggioranza di questi vengano investiti in strumenti finanziari emessi da società italiane. E sinceramente tali investitori sono anche meno sensibili a problemi geopolitici e sono un po’ meno volatili nelle loro scelte di investimento.

Abbiamo poi un ulteriore effetto collaterale come quello di rafforzare l’industria del risparmio gestito domestica. Quindi rafforzare le imprese, utilizzare il risparmio degli italiani, fare in modo che ci sia una categoria di investitori domestici che compensi un po’ l’eccesso di investimenti da parte di soggetti esteri, e rafforzare l’industria del risparmio gestito.

 

 

Ad oggi quanto hanno “raccolto” i PIR? E quanto è il montante complessivo che ancora potrà essere convogliato sui PIR?

Nel 2017 circa 11 miliardi di Euro, più del doppio delle aspettative del MEF. Nel primo trimestre del 2018 hanno raccolto già 2 miliardi. Ovviamente i dati sono un po’ in calo rispetto al primo trimestre del 2017 ma questo è principalmente dovuto al fatto che i mercati in quel periodo erano andati molto bene.

 

 

Quali sono i soggetti intermedi mobilitati dalla nascita dei PIR? (chi raccoglie i risparmi e chi li convoglia sulle imprese…)

Le grandi case di asset management italiane che hanno lanciato fondi PIR, nonché i fondi stessi; la norma parla di “piani” ma poi questi piani possono essere implementati attraverso fondi o gestioni patrimoniali che rispettino quei parametri.

In realtà nel 99% dei casi si tratta di fondi PIR compliant, collocati da grandi case di asset management italiane come Mediolanum o Eurizon: tutti hanno lanciato i propri fondi PIR.

 

 

C’è anche un ruolo delle banche?

Le banche controllano la grande maggioranza dell’asset management italiano. Per esempio Eurizon è del gruppo Intesa, Mediolanum stessa è una banca. Oppure Arca, Anima, che hanno lanciato dei fondi PIR, sono tutte partecipate da enti bancari.

 

 

Questi sono gli ennesimi strumenti che cercano di portare capitali verso la Borsa?

Portando più capitali, anche investiti in aziende di medie dimensioni, vengono poi più facili i processi di quotazione. Questo è normale.

Nel mondo, quando si quota un’azienda relativamente piccola, la parte preponderante degli investitori è domestica. In Italia abbiamo tantissimi investitori internazionali – Borsa Italiana ogni anno comunica che oltre il 90% degli investitori sono internazionali – ma in realtà questa è una tragedia per il sistema italiano.

Perché evidentemente gli investitori internazionali oggi ci sono e domani magari no, perché seguono le opportunità sul mercato a 360 gradi. Ci deve essere invece una categoria di investitori domestici, e i PIR stanno facendo proprio questo.

I PIR hanno inoltre avuto un effetto di comunicazione positivo perché da questo punto di vista molte imprese hanno cominciato a considerare la quotazione in maniera più attiva. E soggetti come noi hanno cominciato a dire alle imprese che la quotazione era possibile: mentre prima avevamo più imprese a cui dicevamo che non potevano quotarsi perché non c’erano investitori, ora a tante possiamo dire il contrario.

C’è stato quindi un circolo virtuoso – che non definirei una stampella del sistema (i PIR) – di sviluppo dei mercati italiani, mercati che hanno bisogno di investitori, gestori, intermediari come noi e aziende.

Per questo il Governo nella finanziaria successiva ha poi introdotto un’altra novità, la detrazione delle imposte per le società più piccole che si quotano, per incoraggiarle a quotarsi; questo sta dando l’occasione ai mercati italiani di raggiungere dimensioni più adeguate alla nostra economia.

Nella relazione dell’ex presidente di Consob infatti troviamo come obiettivo quello di avvicinare i mercati italiani a quelli europei, almeno in termini percentuali del GDP; per fare questo però ci vogliono tutti gli elementi di cui abbiamo detto: investitori, risparmi, società, intermediari.

 

 

Quanto raccolto è poi finito veramente ad aziende medie oppure solo in quotate grandi?

Se i PIR avessero semplicemente seguito la regola del 21%, degli 11 miliardi raccolti nel 2017, 2 miliardi sarebbero andati a società fuori dal FTSE Mib, e le garantisco che due miliardi di risorse a società non FTSE Mib provenienti da investitori italiani non li vedevamo da secoli.

Quindi da questo punto di vista i PIR sarebbero già di per se molto positivi. Ci risulta però – da dati di Assogestioni – che i titoli non FTSE Mib, invece che il 21% abbiano ricevuto intorno al 40%. Quindi è probabile che ci si sia orientati di più verso le medie imprese.

Non bisogna comunque fare confusione; i PIR non sono per le piccole o micro imprese, perché queste non sono quotate. La critica “i PIR non portano i soldi all’economia reale, che è fatta di piccole imprese” è un nonsenso: i PIR danno risorse alle società quotate e queste devono essere società con una dimensione compatibile con lo status di società quotate.

Il fondo (dei PIR) deve essere aperto in modo da essere riscattato dal proprio sottoscrittore in qualunque momento (a discapito della relativa perdita del beneficio fiscale da parte del sottoscrittore) e deve quindi avere una liquidità intrinseca per poter far fronte alle richieste di liquidità.

Investire solo in società molto piccole, quindi estremamente illiquide, metterebbe a rischio i soldi dei propri sottoscrittori qualora dovesse verificarsi qualche fenomeno che porterebbe a riscatti superiori alle attese.

 

 

Equita ha partecipato alla creazione di questi strumenti?

Siamo stati grandi fan dell’iniziativa. Il nostro ruolo nel portare consapevolezza a livello delle istituzioni dello strumento PIR è stato di primo piano e i risultati sono ora importanti.

Quando bisognerà affrontare il discorso delle piccole imprese bisognerà comunque trovare altri strumenti, come per esempio hanno fatto in UK con i venture capital trusts.


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