Oggi dove siamo

Il futuro dell’economia dei satelliti

Quante tipologie di satelliti esistono? Quanta vita utile hanno e dove finiscono tutti i satelliti che hanno esaurito il loro compito nello spazio?

Luca Rossettini, Ceo e fondatore dell’italiana D-Orbit, ci ha descritto l’economia dei satelliti disegnando un ambiente in cui costi, materiali e innovazioni possono aprire o chiudere la strada ad attori o protagonisti nuovi, che hanno bisogno di servizi molto particolari.

 

 


Ogni settimana raccogliamo informazioni da un Ceo e le mettiamo nel business report 11 note di Intelligence Economica di Company | Note.  Per riceverlo scrivi a info@companynote.it


 

 

Quanto è lunga la vita di un satellite? 

I satelliti sono progettati e costruiti per resistere a un ambiente – lo spazio – in cui la temperatura può variare di 100° nel giro di poche decine di minuti, e le radiazioni che attraversano il satellite possono danneggiare o distruggere la delicata strumentazione di bordo.

Prima del lancio, un satellite è sottoposto a un collaudo durissimo che include un test che simula le fortissime vibrazioni del lancio, numerosi cicli all’interno di camere a vuoto in cui il veicolo viene sottoposto a differenziali di temperatura compresi tra -60° a +80° nel corso di diversi giorni, test di compatibilità elettromagnetica e così via. Questo collaudo è essenziale perché non è possibile andare in orbita con un cacciavite ad aggiustare un satellite dopo il lancio.

Grazie a queste pratiche, i grandi satelliti cui siamo abituati sono molto resistenti, ma anche costosi e pesanti:

  • i satelliti per le telecomunicazioni, ad esempio, sono progettati per operare quindici anni.
  • i satelliti per la navigazione, tipo GPS o Galileo, sono progettati per vivere almeno 10-12 anni.
  • Altri satelliti dedicati a missioni scientifiche o di osservazione remota, sono progettati per vivere da 5 a 7 anni.

Alcuni satelliti per missioni interplanetarie, lanciati negli anni ’70 e ’80, funzionano ancora oggi a 30 o 40 anni di distanza. Sono macchine eccezionali, che in alcuni casi hanno già lasciato il nostro sistema solare.

 

 

Che fine fa dopo la sua vita utile?  

Negli ultimi anni si è affermata una classe di piccoli satelliti con una massa tipicamente inferiore ai 50 kg. Questo tipo di satelliti, generalmente operati da privati, sono usati per fornire dati a terra e offrire servizi a persone ed aziende in tutto il mondo.

Invece di usare i tradizionali —e costosi— componenti satellitari, questi satelliti usano componenti commerciali a basso costo. Questa caratteristica da una parte li rende molto più piccoli, leggeri, ed economici dei satelliti tradizionali, dall’altra ne riduce la vita ad appena due o tre anni. L’assenza di meccanismi di ridondanza tipici di satelliti più grandi riduce ulteriormente la durata tipica di queste piattaforme perché qualunque tipo di guasto rende il satellite inutilizzabile.

Un satellite raggiunge il termine della sua missione quando viene esaurito il propellente che permette di mantenerlo in posizione o quando qualcuno dei sistemi principali smette di funzionare.

Se un satellite è ancora funzionante al termine della missione, viene rimosso dall’orbita. I satelliti nelle orbite più alte vengono spostati nella cosiddetta “orbita cimitero”, una sorta di discarica spaziale, dove possono rimanere senza creare danni ad altri satelliti.

Una certa categoria di satelliti in orbita bassa è soggetta alla cosiddetta legge dei 25 anni, che prevede che un satellite a fine vita venga immesso in un’orbita che ne causi il rientro atmosferico in meno di 25 anni. Durante questo periodo, questi satelliti sono fuori controllo, e la zona di rientro è difficile da prevedere.

 

 

E i pezzi che li compongono?

Nel caso dei satelliti più grandi, alcuni pezzi sopravvivono al rientro. Se oggi la probabilità di essere colpiti da frammenti di satelliti è molto bassa, l’aumento del traffico orbitale potrebbe portare il rischio d’impatto a livelli preoccupanti.

Per questa ragione, i satelliti più massici in orbita bassa vengono diretti verso Terra in una zona di rientro prestabilita al di sopra dell’oceano dove bruciano al contatto con l’atmosfera.

Le orbite più basse sono estremamente affollate, e il traffico sta aumentando in maniera esponenziale. La legge dei 25 anni non è sufficiente in questo scenario, e in un futuro prossimo è prevedibile che l’obbligo di rientro diretto e controllato su zone disabitate venga esteso anche ai satelliti più piccoli.

Idealmente, un operatore dovrebbe riservare una quantità di propellente che permetta di rimuovere il satellite dall’orbita, evitando che questo si trasformi in un detrito spaziale. I satelliti migliori sono progettati con una affidabilità del 90% o maggiore. Questo valore non è costante, ma diminuisce rapidamente con il passare del tempo, e ovviamente se un satellite si guasta non è possibile rimuoverlo. Quando questo succede, il satellite rimane nella sua orbita, dove comincia a ruotare attorno a se stesso e ad andare alla deriva, rischiando di andare a sbattere contro altri satelliti che quindi devono sprecare prezioso carburante per evitarli.

 

 

Voi realizzate il cosiddetto decommissioning di un satellite, operazione che evita di farlo diventare spazzatura spaziale? In cosa consiste?

Il nostro D3 è un motore intelligente  specializzato in manovre di rientro che s’installa su satelliti prima del lancio. Un domani, quando esisterà un mercato, intendiamo proporre sistema per installarlo in orbita su satelliti non più funzionanti.

Il sistema è totalmente modulare e plug and play. È autonomo, e usa  le risorse del satellite solo per mantenere cariche le batterie e verificarne lo stato di salute.

Questo innovativo prodotto tecnologico può essere utilizzato su satelliti di qualunque dimensione e tipologia operanti in qualsiasi orbita. La strategia di decommissioning cambia a seconda dell’orbita e della massa del satellite.

Il D3 per satelliti geostazionari — grossi satelliti per le telecomunicazioni a 36 mila km di altezza— mantiene una elevata affidabilità anche dopo 15 anni di vita nel difficile ambiente spaziale, garantendo di poter spostare il satellite nella orbita cimitero come previsto dalla legge anche in caso di malfunzionamento del satellite stesso.

Un grande satellite per l’osservazione remota in orbita bassa, tra 600 e 800 km, tipo quelli che vengono usati per monitorare incendi o controllare lo stato di salute di piantagioni agricole, monta un D3 che è in grado di causare il rientro diretto e controllato in una zona predeterminata sulla Terra, lontano da zone abitate.

Questo sistema è in grado di capire se il satellite ha smesso di funzionare, permettendo di rimuoverlo comunque, una cosa impossibile con la tecnologia attuale.

La rimozione diretta da un’orbita bassa richiede meno di un’ora. Per spostare un satellite geostazionario in orbita cimitero ci vuole circa un giorno o poco più. Tutto dipende anche dal modulo propulsivo montato: l’operatore potrà decidere se fare una manovra divisa in più passi o rimuovere il satellite velocemente.

L’uso del D3 semplifica le operazioni di fine vita, riducendo drasticamente i tempi di smaltimento, permettendo all’operatore di ridurre i costi operativi e di utilizzare fino in fondo il propellente a bordo, allungando la vita del satellite e aumentando il fatturato.

 

 

D-Orbit si occupa anche della progettazione e della costruzione di satelliti oltre che del “recupero”?

D-Orbit offre servizi lungo tutta la catena produttiva di un satellite, inclusi:

  • progettazione,
  • manifattura,
  • collaudo,
  • certificazione per il volo,
  • assicurazione,
  • rilascio nello spazio,
  • operazioni in orbita,
  • e rimozione.

Abbiamo già lanciato il nostro primo satellite, D-Sat, e siamo al lavoro per preparare la prima missione della nostra piattaforma ION CubeSat Carrier, un satellite da più di 100 chili capace di trasportare in orbita fino a 16 CubeSats e rilasciarli uno a uno in posizioni orbitali indipendenti.

I nostri satelliti —anche quelli più piccoli— sono progettati e costruiti secondo gli standard più stringenti dall’industria spaziale internazionale, come le ECSS, gli standard NASA e alcuni standard militari per la sicurezza, e opera in produzione tramite ingegneri certificati dall’Agenzia Spaziale Europea per particolari operazioni.

In questo modo l’azienda riesce a garantire un’affidabilità dei propri prodotti unica sul mercato dei piccoli satelliti pur mantenendo costi molto competitivi.

 

 

Il materiale da recuperare nello spazio è solo quello dei satelliti o ci sono altri soggetti che “scaricano” matriali nello spazio?

Qualunque attività eseguita nello spazio può potenzialmente generare detriti. In passato le operazioni di rilascio di satelliti tendevano a generare una certa quantità di detriti, oltre al razzo vettore stesso. Oggi le normative per la mitigazione dei detriti spaziali prevedono una serie di misure che permettono di contenere questa situazione.

 

 

Com’è il mercato delle start up del settore spazio? In Europa ne abbiamo molte? E in Italia? Generalmente di cosa si occupano?

L’accesso al settore spaziale è sempre stato notoriamente molto difficile. Le principali barriere all’ingresso sono gli elevati capitali necessari per sviluppare tecnologia spaziale e l’abilità necessaria a muoversi agevolmente nel mondo istituzionale. Per queste ragioni, le aziende spaziali tradizionali sono colossi da decine di migliaia di addetti e miliardi di dollari di fatturato.

Il mercato sta cambiando. La miniaturizzazione della tecnologia, l’uso di componenti commerciali e ingresso di capitale privato sta generando centinaia di aziende che vogliono lanciare satelliti. La maggior parte di queste aziende siano Americane, ma anche l’Europa l’Italia – stanno dando vita a decine di nuove aziende estremamente innovative.

Quasi tutte queste aziende si occupano di erogare servizi satellitari a terra tramite costellazioni di piccoli satelliti – decine o centinaia di satelliti. Alcune di queste stanno costruendo dei piccoli lanciatori dedicati ai piccoli satelliti, altre, come l’italiana Leaf Space, si stanno occupando dell’infrastruttura a terra per comunicare con questi piccoli satelliti.

D-Orbit si distingue per la capacità di lavorare sia nel mercato spazio tradizionale che in quello New Space, offrendo tecnologie e servizi per tutti coloro che vogliono operare satelliti.

 

 

Che tipo di collaborazioni avete in programma o avete già impostato?

D-Orbit collabora con diverse altre realtà per portare sul mercato prodotti o servizi innovativi. I partner sono fondamentali per la riuscita dei programmi, come ad esempio l’importante collaborazione con un’azienda quotata nel mercato azionario australiano che vuole lanciare centinaia di satelliti per offrire servizi di comunicazione di base alle popolazioni della fascia equatoriale del pianeta, permettendone quindi il collegamento con il resto del mondo.

Oppure la partnerhsip con Arianespace e Avio, tra i più importanti players al mondo nel settore dei lanciatori.

 

 

Esiste “un’economia” dello spazio? Da quali attori è costituita?

L’economia dello spazio esiste, e ne facciamo tutti parte. Quando si parla di economia dello spazio, la gente tende a pensare solamente al segmento spaziale:

  • manifattura satellitare,
  • operazioni, lancio,
  • e così via.

In realtà l’economia dello spazio riguarda soprattutto gli utilizzatori dei servizi forniti dagli operatori spaziali:

  • governi,
  • industrie dei trasporti,
  • agricoltura,
  • fino a includere qualunque individuo che abbia uno smartphone in tasca.

Stiamo parlando di un’industria che potrebbe raggiungere migliaia di miliardi di Euro nei prossimi decenni, con applicazioni che non sono ancora state inventate.

 

 

Chi sono i vostri clienti tipo? Di quali Paesi? E dove c’è maggior richiesta in questo momento?

Oggi i nostri clienti tipo sono operatori di costellazioni di piccoli satelliti in qualunque parte del mondo e grandi costruttori di satelliti. Le costellazioni di piccoli satelliti contano in genere centinaia di elementi con un ricambio molto rapido –la vita media di questo tipo di satelliti è inferiore ai tre anni.

I nostri servizi di lancio e rilascio permettono di ridurre al minimo i tempi necessari a schierare una costellazione. I nostri servizi di rimozione offerti ai satelliti tradizionali aiutano a mantenere l’orbita di lavoro libera da detriti.

In futuro, intendiamo offrire servizi di riparazione e allungamento della vita, permettendo ai nostri clienti di prolungare la vita dei loro satelliti, riducendo ulteriormente i costi operativi e aumentare il fatturato in modo sostenibile.

 

 

Dove c’è una maggiore presenza d’imprese dedicate e impegnate nell’economia dello spazio?

Gli Stati Uniti sono sempre in prima posizione, ma secondo me i mercati più promettenti sono quelli delle economie emergenti, soprattutto in Asia.

Stiamo parlando di realtà in cui lo sviluppo economico è talmente rapido che non è possibile creare allo stesso passo le infrastrutture di telecomunicazione terrestri simili a quelle che abbiamo qui in occidente. Lo spazio permette di colmare questo divario in maniera più rapida ed economica, creando i presupposti per la fornitura di servizi che qui in Occidente diamo per scontati. Per queste nazioni, l’impatto sociale ed economico di questi servizi è incalcolabile, sia sul piano economico che su quello della qualità della vita.


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