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DA SUB A SUPER FORNITORI

I fornitori sono importanti. È il momento giusto per aiutarli, gestirli, integrarli e magari comprarli. Accompagnandoli verso la trasformazione necessaria da sub a super-fornitori.

(tratto dal n°1/2020 di Impresa e Territorio, magazine di informazione di Confartigianato Imprese Varese)

Se il paradisiaco racconto sulle multinazionali tascabili ci annoia e vogliamo provare qualcosa di più ruspante, possiamo abbassare gli occhi verso il girone infernale della subfornitura, un ambiente angusto e bisognoso di cure, che ripulito e organizzato può regalare grandi soddisfazioni.

Tra i generi letterari della manifattura italiana, i subfornitori hanno infatti un’epica negativa – i loro indirizzi mandano in balla il navigatore, sono campioni del nero e portano le stimmate dell’evasione, e il loro ufficio, quando c’è, è piccolo e provvisorio – e non c’è da meravigliarsene, se un cupo adagio recita che “gli uomini più pericolosi sono quelli dimenticati”.

Sono orfani dimenticati da quando un big bang ha esploso il fordismo e disperso gli operai specializzati di aziende come Dalmine, Olcese, Lucchini, Alfa Romeo, esercitando una forza centrifuga che li ha portati fuori ma non lontano, trasformandoli in piccolissimi fornitori di prossimità di altre imprese.

Pur registrati all’anagrafe dell’anomala economia italiana sotto il cappello di distretti, cluster o ecosistemi, sono rimasti anonimi, informi e informali, e oggi sono fuori persino dal magnanimo racconto sull’innovazione.

Quest’epica triste ha però forti appigli in una realtà fatta di tante debolezze evidenti, alcune volontarie e altre involontarie.

La più comune è avere un portafoglio clienti così poco diversificato, alimentato dal passaparola e mai da consapevoli scelte di marketing, che è solo una manciata di “soliti contatti”; così pochi, che i clienti da più di metà del fatturato (!) ti incastrano in un rapporto talmente subalterno da sfiorare il ricatto del “se fai questo lavoro ti pago quello precedente…”. E questa condizione contribuisce ad alimentare altri punti deboli.

Da una parte, sempre sotto il giogo dei clienti, diventano la loro banca, stravolgono la propria gestione finanziaria e perdono di vista ogni gestione ottimale del credito. Dall’altra, diventano una fisarmonica per tutti i rischi possibili: si gonfiano e si restringono in funzione di quelli del cliente e di quelli del mercato; poco propensi all’export, spesso hanno un solo mercato, nazionale o addirittura locale.

Non si tratta sempre delle debolezze del Giobbe dell’Antico Testamento – il giusto che è messo alla prova – perché qualcuna, come il restare piccoli, non è sempre frutto della sfortuna, ma spessissimo di errori, se non addirittura di decisioni coscienti; come quella per cui ci si accontenta di “tirar fuori” lo stipendio mensile per moglie e figlio, senza considerare le opportunità di crescita che spesso sono sotto il naso.

Cento debolezze, dieci difetti e una manciata di colpe. Ma c’è qualche forza nascosta, se Stefano Gabbana racconta al Corriere della Sera che “ci è capitato di acquisire alcune realtà perché c’era il rischio che fallissero e che noi perdessimo le loro competenze”.

Tra le grandi imprese della moda francese e della meccanica tedesca è poi scattata negli ultimi cinque anni una corsa all’oro per comprare i fornitori più preziosi. Perché fare fornitura è una maledetta condanna, ma poggia su quell’ostinazione tutta italiana di voler curvare qualcosa che non si flette, anche solo un tubo, che porta spesso a meravigliose scoperte.

A rafforzare certi fornitori c’è proprio la testarda autonomia nella sperimentazione del prodotto, la capacità di navigare a vista – difetto diventato qualità – e quella di piegarsi per non rompersi. Ma questo è sufficiente a compensare i difetti e le debolezze che trascinano verso il basso?

La partita quotidiana si gioca tutta sull’equilibrio tra l’adrenalina del creare e la tensione del farsi pagare; almeno finché la banca può aspettare, finché i pochi dipendenti sopportano…finché chiudi…perché non sempre arriva qualcuno che ti compra per salvarti.

Così, il lavoro da fare qui, per i più coraggiosi, è la grande trasformazione da sub-fornitori a super-fornitori, da una posizione di debolezza a una di forza.

Il più grande stimolo verso questa mutazione sono le innovazioni continue, di cui la conversione verso il motore elettrico, nel paese dei tanti fornitori dell’automotive, è solo l’ultima.

Per tutti i medio-grandi clienti di queste micro-piccole imprese è quindi arrivato il momento giusto per:

– Aiutarle a fuggire la sindrome della commodity (fare un prodotto-base a prezzi bassissimi) alzando la qualità;

– Incrementare le loro competenze specifiche, ed evitare di perderle quando i dipendenti migliori si ritirano;

– Rimanere flessibili senza perdere il ritmo, senza svuotare la cassa, e senza essere inefficienti;

– Piantare una bandierina ad ogni innovazione raggiunta (attraverso brevetti e certificazioni);

– Diversificare pensando con gradualità anche all’estero;

– Integrarsi con loro, magari considerandoli come futuri soci;

– Insegnando loro a raccontarsi.

Se ben costruito, il rapporto con i propri fornitori può portare anche a felici matrimoni, utili a tutti. In cui si diventa entrambi insostituibili.

Antonio Belloni, consulente aziendale e saggista.