(foto: ibtimes.co.uk)
La cultura ambientale va in fattura. Ambiente e green non sono più solo un’etichetta con cui le aziende si puliscono immagine e coscienza, infatti il mercato riconosce il valore aggiunto di prodotti e i servizi realizzati nel rispetto per l’ambiente.
Un valore che le grandi industrie ricercano, per amore o per forza, mentre le piccole imprese fanno fatica a concepire e tradurre in investimenti e innovazione.
Lo racconta Patrizia Vianello, a capo di Ambiente Sc, società di punta nell’ingegneria ambientale italiana con un percorso che va dalla Costa Concordia fino alla moda.
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Intervista estratta dal business report privato 11 note di Intelligence Economica di Company | Note.
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Ambiente Sc – In Italia l’ingegneria ambientale è un comparto ancora tutto da spiegare. Partiamo da un esempio pratico: che attività avete svolto nel contesto del recupero della Costa Concordia?
Nell’ambito del recupero del relitto della Costa Concordia, abbiamo svolto, in collaborazione con l’Università della Sapienza di Roma, tutte le attività di monitoraggio ambientale fin dalle prime fasi emergenziali post incidente. I controlli si sono susseguiti per tutta la durata del cantiere all’Isola del Giglio, ed hanno interessato le principali matrici ambientali: acqua di mare, sedimenti, fauna ittica. Si e trattato cioè di analizzare dal punto vista chimico e biologico i campioni prelevati al fine di monitorare l’evolversi dello stato qualitativo dell’ambiente marino durante le varie fasi di avanzamento del cantiere, che si è concluso con il raddrizzamento del relitto (parbuckling). Il nostro impegno è quindi proseguito con la fase di trasporto della nave fino al porto di Genova, durante la quale abbiamo verificato, da un punto di vista chimico, l’eventuale rilascio di sostanze contaminanti in mare. Ultimo step operativo è stato infine quello del monitoraggio durante le tre fasi di smantellamento del relitto presso il porto di Genova. In questo caso sono state effettuate anche attività di caratterizzazione chimica dei rifiuti prodotti dallo svuotamento e smantellamento della nave.
Il settore – Più in generale, perché il green è un settore che in questo momento non soffre? E la crescita di un’azienda come la vostra, cosa spiega rispetto al “mercato” dell’ambiente?
Che il settore Green non soffra per niente ….non è esatto. In una società in crisi economica come la nostra, il contagio è difficilmente confinabile e gli effetti prodotti dalla crisi sono dilaganti. Prezzi bassi e incassi faticosi, producono sofferenza e comprimono lo sviluppo anche dei settori più sani e il settore Green in generale ne ha senz’altro almeno in parte sofferto, compreso noi che, tuttavia, anche in questi anni abbiamo proseguito il nostro trend positivo. Le nostre attività, nella fattispecie l’ingegneria e la la consulenza ambientali, hanno una caratteristica particolare e fondamentale: sono indotte, infatti, da una normativa ambientale in continua evoluzione, che prevede l’obbligatorietà di grandi quantità di adempimenti e misure tecniche o organizzative, pena l’applicazione di sanzioni non solo amministrative ma anche penali, per la quasi totalità dei soggetti che operano nel mondo economico, siano essi imprese pubbliche o private, amministrazioni locali, aziende di servizi pubblici.
Naturalmente l’effetto leva delle norme giuridiche é stato condizione necessaria ma non sufficiente della nostra crescita.
Il consumatore – La sensibilità del cittadino/consumatore rispetto all’ambiente sta aumentando in maniera veloce. Perché e perché proprio adesso?
Rispetto agli anni 70, quando incominciarono a circolare le prime notizie ed i primi report allarmanti sullo stato dell’ambiente, le cose sono molto cambiate. Allora, la velocità di circolazione delle notizie era ben altra cosa da oggi ed il report del MIT (Massachusetts Institute Of Technology) “The limits to growth”, del 1972, commissionato dal Club Roma (Associazione di scienziati, economisti, manager), rimase per molto tempo un tema di informazione e discussione per pochi appassionati. Oggi la situazione è molto cambiata, le notizie “ambientali” si diffondono veloci e pungenti sui social media e da qui diventano rapidamente patrimonio di conoscenza di tutte le collettività interessate.
Dalla qualità del cibo consumato a quella dell’acque potabili, dall’aria respirata ai rifiuti prodotti nelle grandi città.
Il cittadino, utilizzatore e consumatore, è sempre più informato ed aggiornato in tempo reale, praticamente sempre connesso e il tema ambientale, strettamente collegato a quello della propria salute, colpisce sempre con immediatezza ed efficacia. Con la crescita esponenziale dell’utilizzo dei social e dei media in generale, insieme ovviamente ad una inevitabile evoluzione del dibattito ambientale, è naturale che si sia passati molto rapidamente alla diffusione di una sempre maggiore consapevolezza e sensibilità “ambientale”.
La legge – Dopo molti anni di battaglie, nel 2015 è stata approvata la Legge sui reati ambientali. Come ha cambiato il vostro lavoro?
In realtà, ad oggi, non abbiamo ancora rilevato un’incidenza particolare ed evidente sul nostro lavoro della nuova legge sugli ecoreati. Il profilo penale commisurato alla violazione di obblighi di tipo ambientale, sebbene le varie violazioni non fossero ancora esattamente configurate come “Delitti contro l’ambiente”, è sempre stato presente nelle normative ambientali, già a partire dalla Legge “Merli”, la prima legge ad impronta ambientale del nostro ordinamento giuridico, che nel 1976 e andata a regolare gli scarichi idrici. E, a seguire, anche le altre normative (aria, rifiuti, bonifiche, sicurezza sul lavoro) hanno da sempre previsto risvolti penali per i trasgressori delle norme.
E questa è stata senz’altro una leva fondamentale sia nel processo di responsabilizzazione verso il rispetto e la protezione dell’ambiente sia nella crescita delle nostre attività. Molti degli adempimenti ambientali hanno ad oggi un peso vincolistico paragonabile, ad esempio, a quello urbanistico e seguono le aziende dalla fase di progettazione, a quella di esercizio, fino alla fase di chiusura. La nostra principale mission aziendale è quella di affiancare le realtà produttive nella fase di pianificazione, autorizzazione e gestione dei controlli durante l’esercizio.
Certo che il riconoscimento di disastro ambientale, per la prima volta presente nel nostro ordinamento giuridico, non può non far pensare ad una inevitabile pressione psicologica, oltre che finanziaria, su imprese, manager e imprenditori, tale da spingere le scelte aziendali verso un potenziamento delle attività di prevenzione e mitigazione del rischio ambientale, con conseguente, anche se non immediatamente percepibile aumento delle nostre attività. Di certo, al momento, l’incidenza più evidente appare pesare più sul settore legale e assicurativo.
L’emergenza – Dal punto di vista operativo, ci sembra che ci siano due approcci possibili al contesto ambientale: quello dell’urgenza contestuale al danno, e quello della prevenzione finalizzata ad evitarlo e ridurre il rischio. Le aziende italiane come si comportano, e come procedono rispetto a quelle estere?
L’attenzione alle tematiche ambientali da parte dell’Industria in Italia è sempre cresciuta in questi anni: gli organi di vigilanza, le ARPA (agenzie regionali per la protezione dell’ambiente) e le ASL, non hanno dato tregua in termini di controllo della conformità normativa, seppur con notevoli differenziazioni a seconda delle diverse aree geografiche del paese. Dall’industria chimica, che per prima si è mossa in questa direzione (è del 1992 la nascita del Programma volontario di Sviluppo Sostenibile della Chimica in Italia, Responsible Care), successivamente tutta l’industria italiana, seppure sotto la forte spinta delle normative cogenti, si è mossa nella direzione della prevenzione del rischio, piuttosto che quella della gestione dell’emergenza ambientale.
L’industria è consapevole dei danni che comporta un’emergenza ambientale, sia in termini di costi di disinquinamento e bonifica, sia in termini di danno di immagine sui mercati. L’industria ha inoltre ormai consapevolizzato anche il fatto che molte delle misure migliorative richieste dalle norme ambientali finiscono con il produrre risparmi ed economie dei costi di funzionamento. Si pensi infatti, solo per fare due esempi fondamentali, ai risparmi energetici o a quelli idrici che hanno comportato l’utilizzo di fonti di energia alternativa o il riciclo e riutilizzo delle acque depurate, oltre naturalmente all’innegabile valore aggiunto, come già detto, portato dalla valorizzazione e comunicazione verso l’utilizzatore e consumatore, delle politiche Green adottate.
Dimensioni e consapevolezza – C’è una differenza tra il comportamento delle imprese grandi e quelle piccole? Fatte cento le aziende che si rivolgono a voi, quante vi chiamano in un momento di urgenza perché il danno è ormai fatto, e quante per evitare rischi futuri, in una logica di prevenzione? Che cultura del rischio ambientale c’è nelle aziende?
C’è una differenza fondamentale, nella risposta alle tematiche ambientali, tra piccole e grandi aziende. Le grandi aziende, più soggette ai controlli degli organi di vigilanza e più percepibili nei loro impatti da parte delle popolazioni circostanti, hanno subito negli anni una pressione forte e continua, che ha senz’altro accelerato la crescita della loro organizzazione della gestione ambientale. Ad oggi dunque, le grandi aziende, mediamente, sono portatrici di una cultura ambientale significativa e di un’adeguata organizzazione che gli permette di prevenire e contenere danni ed effetti negativi. Dopo l’impatto, infatti, con le prime normative ambientali degli anni 80/90 e le comprensibili difficoltà ad accettare cambiamenti tecnologici ed organizzativi dal forte impatto economico, le grandi aziende hanno saputo fare propria una cultura del rispetto e della tutela dell’ambiente che le ha fatte crescere, riuscendo spesso a trasformare in valore aggiunto quegli adempimenti ambientali inizialmente forzosamente applicati, ma poi diventati motivi di economia dei consumi e valorizzazione della migliore qualità dei propri prodotti o servizi. Un prodotto od un servizio realizzati nel rispetto dell’ambiente é sempre percepito dal mercato come di maggiore valore aggiunto.
Le innovazioni tecnologiche ed organizzative hanno inoltre aumentato la capacità di prevenzione e di mitigazione degli impatti ambientali, limitando la casistica degli incidenti ambientali a situazioni straordinarie ed eccezionali. L’incidente ed il danno ambientale, un tempo all’ordine del giorno, sono diventati oggi un fatto di assoluta eccezionalità e se ancora molto lavoro c’è da fare in fatto di bonifiche di aree inquinate, la maggior parte dei casi fa riferimento alla rimozione di situazione provenienti dal passato, in assenza della normativa stringente dei giorni nostri.
Certamente, la quasi totalità delle aziende nostre clienti ci chiama in una logica di prevenzione ed adempimento normativo quando non, addirittura, anche di sensibilità e rispetto dell’ambiente, fino alla consapevolizzazione del valore aggiunto commerciale che l’impronta ambientale può apportare a prodotti e servizi. L’adozione e la diffusione di strumenti volontari di sostenibilità ambientale,come la norma ISO 14000 ed il Regolamento EMAS, ma anche di altri marchi Green specialistici di settore o area di attività, rappresentano chiara testimonianza del fatto che la cultura ambientale delle medie e grandi aziende si sia molto evoluta in questi ultimi decenni. Più acerba, mediamente, la cultura ambientale della piccola impresa che, spesso anche per oggettiva carenza di potenzialità di investimento e capacità di diversificazione ed innovazione, fatica maggiormente ad adeguarsi a quanto percepisce ancora solo come puro onere formale.
Asset ambiente – In chiave positiva, quanto le imprese sono consapevoli che l’ambiente sia una risorsa che innesti valore aggiunto (in molti settori del made in Italy come food, turismo…) e come vi investono?
La consapevolezza del valore aggiunto del Green è ormai in sempre più rapida crescita in Italia. Secondo uno studio del 2016 effettuato dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile, il 27.5% delle imprese italiane è Core Green, cioè produce beni e servizi ambientali o specificatamente finalizzati ad elevate prestazioni ambientali. Della parte rimanente un rilevante 14,5% e Go Green, in quanto ha adottato modelli Green di gestione. L’insieme delle imprese Core Green e Go Green pare dunque costituire il 42% delle imprese italiane. Un dato forse sorprendente e che comunque caratterizza fortemente l’economia italiana rispetto al contesto internazionale.
Certo che spesso la garanzia dichiarata di affidabilità della qualità Green e la diffusione incontrollata di marchi e marchietti utilizzati e sfoggiati, lasciano perplessi e disorientati. Talvolta la sensazione è che gli investimenti effettuati si limitino ai soli aspetti superficiali e non sostanziali, inerenti la comunicazione dei prodotto/servizio, andando ad incidere solo sull’immagine pubblicitaria di immediata percezione dell’utilizzatore/consumatore, spesso utilizzando slogan e titoli di effetto comunicativo immediato, ma non supportato da ragioni tecniche provate e realmente motivanti. Basta pensare infatti all’uso ed all’abuso di termini quali “naturale”, “biologico”, “biodegradabile” ecc ecc. Mancano ancora regole e indirizzi ufficiali e univoci riconosciuti e la cultura della certificazione non è ancora sufficientemente sviluppata né debitamente supportata nei mercati di circolazione delle merci.
Settori sensibili – Quali sono i settori che hanno una maggior sensibilità ambientale – e la traducono in azioni – e quelli invece che ancora non hanno una maturità tale?
Il settore industriale é il settore che ad oggi vanta senz’altro una cultura ed una pratica del rispetto dell’ambiente, di maggior spessore. D’altronde il percorso fatto sul tema della sostenibilità ambientale è un percorso ormai di lunga data, quasi storico. Le leggi infatti che hanno iniziato a prescrivere obblighi ed adempimenti agli impianti industriali, hanno iniziato il loro percorso negli anni 80, infittendosi sempre di più nel corso di questi decenni. Oltre 30 anni di storia di norme, regole, obblighi….ed anche more e sanzioni, hanno così finito con l’esercitare un’azione formativa ed educativa di rispetto per l’ambiente, andando a produrre un approccio sistemico ed organizzato, fondato sul rispetto, la prevenzione o quanto meno la mitigazione degli impatti ambientali.
Diversa la situazione nel settore delle costruzioni e delle grandi infrastrutture dove una normativa molto più giovane e meno sperimentata, partita solo con gli anni 2000, non ha ancora fatto il suo corso formativo ed educativo.
In questo caso il settore appare ancora molto differenziato, con punte di situazioni più evolute e più qualificate nel caso di grandi entità di costruzioni trasportistiche ma con pratiche ambientalmente meno evolute nella media della piccola e media impresa. Una cultura ambientale dunque ancora molto acerba, così come molte altre culture del settore (cultura della sicurezza, cultura della qualità, cultura dell’innovazione …), con davanti ancora un lungo tratto di strada da percorrere.
Sostenibilità – Insieme alle politiche aziendali di corporate social responsibility, i bilanci di sostenibilità ambientale spesso sono sembrati un modo per pulirsi la coscienza o una pratica dovuta e non consapevole e attiva. Cosa è cambiato?
In effetti, in molti casi di aziende che sfoggiano bilanci di sostenibilità ambientale, si ha la percezione di lifting molto superficiali, fondati più su sapienti tecniche di comunicazione, che su aspetti sostanziali. La realtà dei cicli tecnologici viene completamente tralasciata e gli aspetti sostanziali connessi alla sostenibilità ambientale (materie prime utilizzate, produzione rifiuti, acque di scarico, emissioni atmosferiche, tipologie impiantistiche), totalmente ignorati. E’ ovvio che se si utilizzano questi strumenti soltanto come media di comunicazione, la coscienza ambientale non ne trae beneficio. È altresì vero che il mondo produttivo inizia a percepire la sostenibilità ambientale come un’opportunità di sviluppo, come un possibile valore aggiunto da spendere nella propria competitività sui mercati nazionale ed internazionali. Come già accennato in precedenza, le certificazioni ambientali volontarie, i protocolli di sostenibilità (Circular economy ad esempio) si stanno diffondendo rapidamente tra le medie e le grandi aziende a testimonianza di una chiara volontà di voler investire in questa direzione. L’auspicio è pertanto quello che in un prossimo futuro, la politica del dire sia sempre più sostenuta dalla politica del fare.
Moda – Sappiamo che state investendo nel settore del tessile/moda e infatti alle sfilate milanesi la sostenibilità è stata portata in palmo di mano. Anche qui, quanta buona fede c’è nelle imprese di settore e quanto invece “maquillage”?
Le imprese che producono capi finiti e vendono ai consumatori finali, sulla spinta anche della legge che obbliga la rendicontazione non finanziaria, sono realmente attive e utilizzano protocolli di sostenibilità alla propria supply chain. Non si tratta di solo maquillage e i dati che circolano sono interessanti. Le imprese subfornitrici, sebbene a fatica, tendono all’adeguamento e stanno effettuando un percorso di effettivo miglioramento ambientale. Esiste poi una terra di mezzo, costituita dai brand minori e meno blasonati, che molto hanno ancora da fare. In questa terra di mezzo, neanche il make up è arrivato e la strada da percorrere pare ancora lunga e faticosa. Noi siamo pronti anche a proporre idee e percorsi di economia circolare oltre che di responsabilità ambientale.
Competenze – Durante il recupero della Costa Concordia ci si è stupiti di vedere impegnati nelle operazione di recupero un ingegnere sudafricano alla guida, e giovani ingegneri olandesi della Smit. A che livello sono le competenze italiane ingegneristiche? A che livello possono portare il comparto italiano?
Credo che gli ingegneri coinvolti nelle operazioni di recupero della Costa Concordia non possano essere presi a riferimento come indicatori del livello delle competenze ingegneristiche italiane. Il recupero dei relitti navali è un’attività molto specialistica e, al tempo stesso, di rara richiesta sul mercato. Esistono pochissime società al mondo in grado di poter svolgere questo tipo di operazioni. In generale direi che le competenze italiane nel campo dell’ingegneria ambientale sono senz’altro eccellenti. La nostra ingegneria ha infatti alle spalle un’esperienza di ormai una quarantina di anni, esperienza fatta in presenza di leggi sempre molto complicate e spesso di non chiara interpretazione, su tematiche ambientali particolarmente complesse considerata la particolare configurazione territoriale e demografica del nostro paese, nel quale pianure, montagne, fiumi, laghi, mari, convivono in ambiti spaziali limitati ed in cui quindi inserire industrie ed infrastrutture non configgenti con la forte densità antropica, non è certo semplice e di facile praticabilità. Una grande esperienza e, conseguentemente, una grande competenza acquisita che si esprime in una trattazione approfondita ed esperta delle tematiche ambientali e delle loro soluzioni.
Ne è una testimonianza il trend positivo dei fatturati delle società di ingegneria italiane ed anche il fatto che negli ultimi anni la percentuale del fatturato sviluppato all’estero è in costante crescita.
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